Enten Hitti – A tutti gli uragani che ci passarono accanto
Partiamo sfidando una consuetudine: il compositore fissa la sua musica in una partitura rigorosa scritta, che altri possono eseguire riproducendola in forma di concerto dal vivo o di registrazione, a prescindere dai generi. Nell’immaginario collettivo, questo è “il” modo della musica. Ma non è l’unico. Abbiamo scelto di presentare Enten Hitti, progetto musicale milanese, per entrare nella musica da un’altra porta, aperta su orizzonti altrettanto vasti quanto quelli consueti.
NSA: Che cosa vi ha spinto a ricercare intersezioni fra elettronica, musiche rituali ed etniche, a creare suoni prodotti da oggetti, a cercare “corrispondenze”? Quando un suono diventa musica?
EH: Beh è una vecchia storia… Una ventina di anni fa avevamo la sensazione che l’elettronica fosse una nuova frontiera, un modo per scoprire e inventare nuovi suoni, qualcosa che in natura non esiste… Mettere in connessione i suoni elettronici con le musiche del mondo, cercare corrispondenze, contaminare, ci sembrava una grande opportunità creativa. Poi lentamente abbiamo riscoperto la purezza… In natura c’è già tutto. Basta saper guardare ed ascoltare. Il viaggio verso l’essenza è li. Così un nocciolo di pesca diventa un flauto, una conchiglia tropicale una tromba, alcune lastre di pietra si possono armonizzare come la tastiera di un pianoforte. Semi, unghie di animali, tronchi cavi, zucche, stalattiti: ogni “oggetto” nasconde un suono ed è fantastico scoprire come sia facile trovare stupende melodie, inusuali intervalli, recondite armonie… Ed è stato bellissimo vedere con quale semplicità i suoni corrispondano con i cicli stagionali. Ci sono suoni dell’inverno e suoni dell’estate, melodie per l’alba, per la sera, per la notte. Ogni suono, ogni ritmo, ogni melodia ha la sua qualità emotiva e sentimentale e libera un archetipo corrispondente, evoca una memoria antica, veicola un’energia precisa.
Niente di nuovo: i raga indiani, i pattern musicali dei dervisci medio-orientali, il vodu haitiano, il candomble di Bahia, i rituali sciamanici del centro America e della Siberia funzionano così. Anche la Liturgia delle Ore nei nostri monasteri, con le salmodie che scandivano la vita dei monaci, funzionava così. Ci sono corrispondenze molto precise.
Solo quando una certa melodia o un certo ritmo “corrispondono” con la qualità energetica di un ambiente, di un momento, di una persona allora qualcosa inizia a vibrare: mente, corpo ed emozioni vibrano e si connettono. Lì inizia un viaggio che ti libera e ti pacifica. Questa è musica..
NSA: Che tipo di atteggiamento e di interazione si generano in chi fa e in chi riceve quando la musica non si pone in forma di concerto classico ma di installazione sonora o di performance?
EH: La parola chiave è sensibilità. Certo, c’è una struttura, ma è un canovaccio molto libero. Chi suona deve sentire l’ambiente, le persone. Deve essere centrato su di sé, convinto, e al contempo deve essere in grado di cogliere i segnali minimi e riadattare la sua struttura. Una sorta di rispecchiamento continuo, senza paura, senza giudizio… La scorsa estate eravamo ad un festival nelle Marche. Avevano chiuso al traffico la strada che percorre le Gole del Furlo per un concerto/sonorizzazione per suoni naturali, violino ed oboe. Bene, ad un certo punto mentre stavamo suonando sotto una grande parete rocciosa abbiamo visto migliaia di lucciole sospese a mezz’aria sul fiume… Gli spettatori lo hanno sentito. Istintivamente abbiamo risposto con un silenzio intervallato a tantissimi piccoli tintinnii di sonagli, xilofoni, metallofoni. Alcuni minuti non previsti, assolutamente magici… A fine “concerto” molti spettatori ci hanno riportato quella magia, come uno di quei rari momenti in cui ci si sente in armonia con tutto. Tutto è uno!
NSA: Da un punto di vista culturale, qual è il significato e il senso profondo di creare un evento di cui non rimane traccia se non nella memoria di chi c’era?
EH: È una ribellione! Scherzo, ma in effetti è un no verso la logica dell’apparire e dell’ipocrisia, e ancor di più verso la logica economica che impone di fare eventi solo dopo aver valutato tutto in termini di costi/benefici. In questo senso, molte delle nostre performance sono assolutamente anti-economiche. E ogni volta che facciamo una scelta di questo tipo siamo un po’ più forti. A questo proposito, mi piace citare questa frase di J. Grotowski, che per me è stato un grande maestro: “Non è il teatro che è necessario, ma assolutamente qualcos’altro: superare le frontiere fra me e te, per arrivare ad incontrarci, per non perderci più tra la folla, né fra le parole, né fra le dichiarazioni, né fra idee graziosamente precisate”.
NSA: Questo numero affronta il tema del futuro sostenibile di arte e cultura: qual è il vostro pensiero in proposito?
EH: Le arti avranno tante più chance quanto più saranno connesse alla vita sociale.
Meno apparenza e spettacolarizzazione, più sobrietà e, perché no, spazio a sperimentazioni sul valore d’uso dell’arte. Guardo con particolare curiosità alle
esperienze col baratto. Mi spiego meglio. Ho un amico in Tunisia che è a capo di un gruppo musicale di dervisci. Ha studiato arte, musica, filosofia per venti anni, vive coltivando pomodori e una o due volte alla settimana, quando la comunità lo chiede, organizza rituali musicali per i membri del villaggio: per chi vuole sposarsi e non trova moglie, per chi ha un malessere che non si risolve, o per qualunque altro problema. In cambio tutta la comunità porta cibo, doni, azioni per i musicisti. Non necessariamente chi si occupa di arte e cultura deve avere un ruolo da sciamano, ma tanto più le cose che propone sono un veicolo di crescita della comunità, tanto più la comunità lo riconosce e ricambia, e tanto più sostenibile ed ecologico sarà il suo passaggio sulla Terra. Le nostre vite sono brevi: l’importante è mantenersi fedeli ai propri sogni e lasciare un segno di bellezza a chi sta con noi e a chi verrà.
(I Quaderni Di Nuova Scena Antica) Dicembre 2012
Un titolo bellissimo, una limited edition uscita quasi in sordina nel 2003 e ora la degna ristampa per un ensemble tra i più esoterici ed affascinanti, fondato dai polistrumentisti Pierangelo Pandiscia e Gino Ape nel lontano 1995, a cui si aggiunge il violinista Giampaolo Verga e in questa occasione anche il contrabbasso di Stefano Nosari e le voci di Adriana Pulejo e Simona Barbera. Degli Enten Hitti molti ricordano gli sleeping concerts, disseminati qua e là lungo la penisola, nonché installazioni sonore, concerti itineranti in grotte e boschi, di recente ad affrescare con i loro strumenti anche il bellissimo “De Musica” di Francesco Paladino. Qui utilizzano la forma canzone per tessere un pugno di ballate profumate di folk ancestrale e punteggiate da elettronica discreta, in un paio di pezzi si servono delle parole di Boris Vian: la patafisica Non vorrei crepare, la poetica C’è il sole nella strada. Altrove fanno rivivere melodie sospese tra scale modali e suoni che sanno di arcano, di legni speziati e di muschio, come un tempo accadeva con la Third Ear Band: l’oboe struggente di Gino Ape, le corde contemplative di Pandiscia nell’incedere di Vento Lento. Tutto scorre fluidamente, tra canzoni che non di rado si schiudono dolcemente come uno scrigno pieno di segreti: Casa dei pensieri con la fisarmonica e la voce che mi ricorda lontane atmosfere di Jenny Sorrenti con i Saint Just. Più volte “A tutti gli uragani che ci passarono accanto”, si è manifestato anche come performance tra letteratura e musica, uno spazio nomade ogni volta reinterpretato e improvvisato, come ci racconta l’ensemble. Certo, sono solo alcune suggestioni tra le pieghe dei loro suoni, altro lo scoprirete da voi lungo il sentiero.
(7/8)
Gino Dal Soler (Blow Up) Giugno 2020
Talvolta, per comunicare davvero, bisogna creare una musica che abbatta le diversità e scarti le differenze fra gli uomini; qualcosa, come una formula creativa, volta all’impeto della sperimentazione, alla pulsazione dei corpi, alla creazione di uno spazio ampio dove si muova il suono. Il mondo è grande, la musica etnica ancora di più. Inseguendo suggestioni ambient, gli Enten Hitti viaggiano nell’etere della ricerca sonora da sempre: quella che pratica l’arte del rivitalizzare storie su tappeti musicali inediti e appassionanti. Oboe, steel drum, metallofono, corno, violino, contrabbasso costituiscono alcuni degli strumenti che celebrano “A tutti gli uragani che ci passarono accanto”: canzoni create tra il 2000 e il 2005 sulla base di un contratto con Giovanni Lindo Ferretti e Zamboni e mai pubblicate.
L’album non è fatto di interpretazioni ma di espressioni e le voci che ascolti ti guardano negli occhi. Non possono mentire nella “Casa dei pensieri”: quelli fatti di ombre, di venti, di illusioni, di libri, di luce e di ombre. E nemmeno in “Luna di pietra” dichiarano il falso, portandoci all’interno di un viaggio nel tempo, quello dell’esistenza. Le canzoni escono naturali, perdono la bussola e dimenticano le coordinate geografiche; per un attimo sono in Africa (“Le mani d’Africa”), poi si lasciano sospingere dal vento di città (“Vento lento”) e scaldare dal sole nella strada (“C’è il sole nella strada”). Dichiarano amore perduto in “Necramor” e un mare da attraversare nel sole del mattino (“Figlia dell’acqua e del sole del mattino”) per approdare a nuovi paesi, colori e profumi; il tutto condito da sonorità affascinanti, disseminate di suggestioni lontane.
Un disco di “uragani, soli splendenti, utopie, amori perduti” fatto per sognatori raminghi in viaggio verso sud.
Libera Capozucca (Rock.it) 30/05/2020
Après l’édition limitée de 100 exemplaires de 2004, Lizard Records et ADN Records rééditent ” A tutti gli uragani che ci passarono accanto“. Ces chansons sont restées dans le tiroir pendant des années pour revenir à la lumière aujourd’hui. Plutôt pensé comme un projet artistique centré sur la recherche musicale avec la volonté d’associer la musique traditionnelle, l’électronique, la musique d’ambiance, la new age et la chanson d’auteur, Enten Hitti reste une formation très discrète qui évolue principalement dans un milieu underground italien avec quand même quelques bandes son composées pour la RAI et divers spectacles. L’album propose une très belle collection de chansons, marquées par les voix graciles de Simona Barbero et Adriana Pulejo qui auront du mal a renier leurs origines méditerranéennes. Gino Ape et Pierangelo Pandiscia sont les responsables de l’intégralité des compositions sauf les textes des titres 3 et 8 dont les paroles sont à l’origine de Boris Vian, traduites bien sûr en italien. Cet album se présente un peu comme une version édulcorée de ce que fait Antilabè . Dans l’ensemble cela reste très éthéré, facile d’écoute mais avec beaucoup de subtilités et de détails très fins qui se révèlent petit à petit. Car, il est essentiel d’écouter cet album dans un environnement calme afin de profiter au maximum des douces et chaudes effluves diffusées par cette musique à la fois attachante et relaxante. Je vous laisse découvrir et savourer.
Passionprogressive.fr
Gli Enten Hitti danno finalmente alle stampe alcuni dei brani composti sulla scia di un contratto con Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni, canzoni che la band stessa definisce apocalittiche. La storica band progressive mescola new wave, pop-rock e sperimentazioni sonore in un disco convincente, intriso di storia e di premonizioni.
A Tutti gli Uragani Che Ci Passarono Accanto è un album complesso che sa essere anche diretto e di ampio respiro. I suoi momenti più difficili sono pietre d’inciampo che obbligano l’ascoltatore a fermarsi, porsi domande, non per forza darsi risposte. È un album che risente molto dell’influenza di Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni, delle loro funamboliche e grandiose esperienze coi CCCP e CSI, della loro filosofia e impostazione. Già in “Casa dei Pensieri” le piroette vocali e l’approccio cantautorale creano un tutt’uno estremamente coerente e appassionante. “Figlia dell’Acqua e del Sole del Mattino” tocca territori simili, mentre brani come “Luna di Pietra” e “Necramon” si allontanano solo leggermente da questa atmosfera cantautorale per sfiorare maggiormente accenni bucolico-folklorici o puramente progressive.
I nove brani che compongono A Tutti gli Uragani Che Ci Passarono Accanto raccontano una storia di speranza e di redenzione, di una fine che incombe e di un tentativo di (improbabile) rinascita. Uragani, tempeste, ma anche soli, acqua, distruzioni, purificazioni. Le mani insanguinate e che fanno l’amore di “Le Mani d’Africa” sembrano un tuffo nella grande tradizione del pop-rock italiano dei Nineties. Dall’altro lato, invece, “Non Vorrei Crepare” insegue un certo sperimentalismo non solo italiano Anni Ottanta e Novanta in uno spoken word raffinato ambizioso, dove la musica in sottofondo è puro prog declinato in una dimensione ambient.
In A Tutti gli Uragani Che Ci Passarono Accanto gli Enten Hitti narrano un momento della (loro) storia di non semplice decifrazione, un’incertezza poetica e dolce che si percepisce dall’inizio alla fine nella musica e nelle parole. Ci sono molti passaggi cupi, ma la speranza qua e là compare, come nel quadretto bucolico “C’è il Sole nella Strada” o nella sognante “Vento Lento”, forse il momento più alto del disco. In conclusione, la primitiva e propiziatoria “Dea Mangiamele” è al tempo stesso fine e secondo inizio, un momento di snodo che può dare nuova linfa all’umanità in crisi. Gli Enten Hitti provano a indicare una strada.
Samuele Conficoni (MusicMap)
La sperimentazione e la voglia di unire differenti arti come la poesia, la letteratura e la musica spesso non sono esigenze, bensì piaceri veri e propri che scaturiscono spontaneamente dalla curiosità dell’uomo che sfocia nel volere comunicare nuove sensazioni.
Il tutto viene offerto ad un pubblico attento, riservato e dal palato fine. Non necessariamente bisogna catalogare sempre la musica in stili o generi, chi vi scrive però deve dare dei punti di riferimento a chi non sta ascoltando ma semplicemente leggendo, quindi mi sento di incorporare questo disco dei milanesi Enten Hitti nel contenitore della musica sperimentale.
Gli Enten Hitti si formano agli inizi degli anni ‘90 da un’idea di Pierangelo Pandiscia e Gino Ape inizialmente come laboratorio sonoro dedito a sonorità elettroniche, frangenti etnici e musica cantautoriale.
Si intersecano anche con il mondo del teatro e la musicoterapia, un senso da dare ai suoni legato anche alla recitazione, ad un elucubrante senso della ricerca di ciò che non è stato ancora provato. Elettronica e suoni del mondo, un innesto quantomeno rischioso per due generi che sembrano essere quasi agli antipodi, eppure il gioco gode di un fascino speciale. Anche l’oggettistica viene introdotta nella musica degli Enten Hitti, dalle pietre ad un nocciolo di pesca che può diventare un flauto, oppure una conchiglia che si presta ad essere uno strumento a fiato, ossa e semi essiccati. La musica intesa come linguaggio ma anche come memoria dell’uomo, un viaggio introspettivo che ritroviamo in questa ristampa di “A Tutti Gli Uragani Che Ci Passarono Accanto”, originariamente uscito nel 2003. Il disco è il quinto in studio, mentre ad oggi sono giunti alla registrazione di otto album. Le performance sonore entrano in sintonia con l’ambiente, con gli oggetti ed il contesto che circonda chi partecipa alla prestazione sonora.
Il disco è suddiviso in nove tracce per una durata complessiva di cinquanta minuti e si coadiuva della presenza di special guest come Giampaolo Verga (violino), Stefano Nosari (contrabbasso), Adriana Pulejo (voce) e Simona Barbera (voce).
La musica scaturisce da improvvisazioni per poi essere elaborata con sensazioni del momento, ispirate da tutto ciò che circonda i musicisti stessi.
Si inizia con “Casa Dei Pensieri”, arabeggiante, folk, cantilenante con la voce di Simona Barbera. “Luna Di Pietra” narra con le percussioni e la voce un’immagine eterea della nostra esistenza, sensazioni fisiche associate alla musica. “C’è Il Sole Nella Strada” fotografa malinconia, un rapporto difficile con l’arco della giornata ed il sole stesso che porta il narratore protagonista ad uscire di casa solo al tramonto. La notte che concilia ed avvolge i pensieri.
“Le Mani D’Africa” è più cantautorale, dedito alla formula canzone rispetto all’andamento degli altri brani contenuti nell’album, ed è l’ultimo brano cantato da Simona Barbera.
”Vento Lento” è interpretato da Adriana Pulejo, un lento intimo e profondo. Qui la sperimentazione è presente, lucida e ponderata, il caso non è contemplato. Se posso permettermi un paragone estero, lo attribuisco a certe sonorità dei No Man, duo composto da Steven Wilson e Tim Bowness. Più intensa e solare “Necramor”, un crescendo di suoni intrigante come la voce di Pulejo. Un pianoforte sembra far sgocciolare le note proprio come fa l’acqua quando ricade su se stessa e non a caso il brano si chiama “Figlia Dell’Acqua E Del Sole Del Mattino”. Leggiadria e gioia si propagano durante l’ascolto. “Non Vorrei Crepare” è uno dei movimenti più ricercati del disco, per chi vi scrive anche il più bello e sentito, la musica si interseca con la mente e tutto ciò che la circonda. La voce sussurrata completa l’opera. Chiude “Dea Mangiamele”, davvero distante dal contesto sino ad ora ascoltato. La scuola Battiato traccia un solco netto nel brano.
Questo è “A Tutti Gli Uragani Che Ci Passarono Accanto”, un viaggio mentale per persone che non hanno paura di essere accompagnate in lidi mai esplorati. Per chi dalla musica esige qualcosa di più.
MS (Nonsoloprogrock.blogspot.com)
Benché possa sembrare di stretta attualità, la genesi di “A tutti gli uragani che ci passarono accanto” del collettivo Enten Hitti risale ai primi anni 2000, quando l’uscita era prevista per l’etichetta Consorzio Suonatori Indipendenti; le cose non andarono per il verso giusto e l’album è rimasto negli archivi, nonostante sia il lavoro di maggior immediatezza fino a questo punto realizzato. A.T.G.U.C.C.P.A. è infatti un disco di “canzonette”, una licenza che solo gli autori possono permettersi, perché quanto contenuto non ha affatto il frivolo appeal che il termine farebbe presagire, anche se rispetto alla produzione aulica degli Enten Hitti prende una direzione in qualche modo più pop(ular). L’album combina testi profondi, impegnati e poetici con affascinanti arrangiamenti che assecondano l’attitudine sperimentale del collettivo, evocando a tratti le atmosfere di certo folk britannico o del Canterbury sound e la ricerca del prog italiano anni ’70. E’ più o meno quanto fanno venire in mente ballate etno-folk come Casa Dei Pensieri, esotici gioielli dall’aura pop come Luna Di Pietra, Figlia Del Vento e Le Mani D’Africa, teatrali sussurri come la sinistra Non Vorrei Crepare, ariosi folk rock come Mecramor o pensosi poemi come l’intensa Vento Lento. Pubblicato oggi da Lizard Records / ADN Records, A.T.G.U.C.C.P.A. merita tutta l’attenzione possibile, se non altro per un titolo che in questo momento, ci si augura possa essere propiziatorio.
Luca Salmini (Buscadero) Giugno 2020
Un viaggio introspettivo nell’oscurità attraverso una forma canzone obliqua e affascinante. Questo, e molto altro, nel nuovo bellissimo album degli Enten Hitti.
C’è qualcosa di particolarmente trascendentale in “A tutti gli uragani che ci passarono accanto“, il nuovo album degli Enten Hitti pubblicato il 25 maggio 2020 per Lizard e ADN Records. Un lavoro che accoglie la forma canzone, sciorinata però con il classico approccio ricercato e sperimentale che ha contraddistinto il lavoro della band negli ultimi anni.
Un disco di “canzonette“, per usare un termine utilizzato da Pierangelo Pandiscia e Gino Ape. Un termine che però sta davvero troppo stretto: la produzione è infatti una lunga camminata nell’oscurità assoluta, ipnotica, a volte cullante, altre volte disturbante, accesa dalla splendide Voci di Adriana Pulejo e Simona Barbera: in un terreno che, alla lontana, può ricordare il repertorio fascinoso degli Ustmamò, band di spicco dell’alternative italiano anni 90, gli Enten Hitti trascinano l’ascoltatore in un vero e proprio vortice viscerale e meditativo, creando una potenza tensiva con pochi eguali.
Per quarantanove minuti e diciassette secondi il tempo si sospenderà. Nello spoken word de “Il sole nella strada” e “Non vorrei crepare” o nelle conturbanti “Vento lento” e “Dea mangiamele“. Lasciatevi andare, lasciatevi trasportare nell’oscurità. Sarà rigenerante.
VOTO: 8/10
AGGETTIVO: CONTURBANTE
Fabrizio Testa (OA Plus)
Le Parole qui aprono squarci nella memoria, costruiscono paesaggi, suggeriscono riflessioni
Come spesso accade, il primo approccio a un disco passa dall’osservazione della copertina e quella di oggi, come si può notare, è molto evocativa e gli accostamenti di colore suggeriscono stati d’animo prettamente autunnali.
Personalmente, nel guardarla, mi sono immaginato sul ciglio di una scogliera in una giornata di novembre a guardare un mare inquieto, che infrange con forza sugli scogli i pieni pensieri. Illusione pareidolitica si dirà e io aggiungo un certamente sì.
Il nostro cervello, in fondo, tende a ricondurre a categorie note ogni cosa, rivelando nel processo parti inconsce della personalità. Il discorso diventa ancora più interessante se al potere evocativo dell’immagine si uniscono quello della Musica, della Danza e della Parola. E tra i pionieri di una così complessa e avanguardistica sperimentazione ci sono senza dubbio gli Enten Hitti.
Il gruppo fondato da Pierangelo Pandiscia e Gino Ape, infatti, è composto, oltre che da virtuosi dello strumento, da studiosi della Musica e del suono con inclinazioni e studi specifici nelle altre arti e… non solo.
Un’alchimia la loro che gli permette di ideare, realizzare e regalare veri e propri viaggi interiori attraverso sperimentazioni sonore che trascendono lo spazio – tempo. La ricerca sonora li porta in un viaggio a ritroso in quella che è la dimensione arcaica e rituale della musica, che si materializza nella riproposizione di strumenti arcaici ricavati da conchiglie, ossa o pietre sonore. Ma il viaggio sonoro è anche proiettato in avanti, verso suoni nuovi, mai uditi e creati grazie all’uso sapiente dell’elettronica. La costante tra passato e futuro è la complessità dell’emozione che, per quanto cambino i tempi, è nelle sue varie sfaccettature universale e senza tempo. Musica, suoni ma anche Parole. E’ proprio il loro album più vicino alla forma canzone che, in questo periodo surreale, viene riproposto all’attenzione di un pubblico più ampio. “A tutti gli uragani che ci passarono accanto” è uscito, infatti, nell’ormai lontano 2004 in un’edizione limitata a sole 100 copie. Ma la Musica, non a caso uso la lettera maiuscola, vince la sua sfida col Tempo e, oggi più che mai, l’album risulta attuale e necessario. Attuale perché è fondamentale ridimensionare l’egocentrismo e l’edonismo che caratterizzano la società occidentale, necessario lo è, soprattutto in questo periodo, nel quale un nemico invisibile e sconosciuto ha fatto vacillare le certezze su cui abbiamo costruito illusioni.
Il viaggio che i nove brani, riduttivo definirli così, propongono è quello interiore per recuperare ciò che è rimasto sopito nel profondo della nostra coscienza. Le Parole aprono squarci nella memoria, costruiscono paesaggi, suggeriscono riflessioni.
E’ “Casa Dei Pensieri”, non a caso apre l’album, che ci ricorda, infatti, che ognuno di noi è il risultato unico di tanti elementi.
“Il Sole nella Strada” e “Non Vorrei Crepare” sono due splendidi reading, in cui si recitano due poesie di Boris Vian. E se l’album si apriva con l’invito ad una presa di coscienza “Non Vorrei Crepare” è un invito a non sprecare il tempo dell’arco temporale che ci è concesso su questo meraviglioso pianeta.
Un album affascinante e intenso che meritava, senza se e senza ma, una ristampa.
Non ho snocciolato il curriculum e le collaborazioni degli Enten Hitti, per questo c’è internet, ma se nelle mie parole avete percepito dell’esagerazione o se vi hanno suscitato delle perplessità, vi invito a fare qualche semplice ricerca, in caso contrario non esitate a regalarvi questo splendido album uscito il 15 maggio per Lizard Records e ADN Records.
Fortunato Mannino (Sound36 webzine)
La storia della musica è piena di perle nascoste, dimenticate, che mai hanno visto la luce del sole e che poi grazie al mutare delle circostanze o alla buona volontà e al fiuto di illuminati appassionati infine riaffiorano per la gioia di chi ama la buona musica. Inutile far nomi dei tanti dischi che in questi anni sono stati riscoperti dopo decenni di oblio. È il caso di questo lavoro del collettivo Enten Hitti fondato un quarto di secolo fa da Pierangelo Pandiscia e Gino Ape, infatti le canzoni dell’album sono il frutto di un contratto stipulato con Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni e che avrebbero dovuto uscire nel 2005, ma poi non se ne fece nulla e oggi, grazie anche alle etichette Lizard e ADN, finalmente sono disponibili, anche se, a dire il vero, nel 2004 furono pubblicate, ma in forma semiclandestina in sole 100 copie. Rispetto alla produzione degli Enten Hitti, questo “A Tutti gli Uragani che ci Passarono Accanto” (2020) è opera alquanto eretica nello sposare la forma canzone, ma ovviamente anche qui l’attitudine sperimentale dell’ensemble non scompare affatto, ma la ritroviamo proprio nella scrittura e negli arrangiamenti dei brani e nella propensione dei musicisti alla scoperta di suoni inediti in uno spettro ampio che va da quelli acustici, oboe, chitarre, violini, contrabbasso, a quelli elettronici fino a quelli arcaici e primitivi, ossa, pietre, conchiglie.
Casa dei Pensieri apre le danze, atmosfere rarefatte, fisarmoniche evocative, percussioni etniche, melodie elettroniche suadenti e la voce di Simona Barbera che fra movenze folk e un lirismo che la fa vibrare come fosse uno strumento ci trasportano in atmosfere umbratili e notturne, che sembrano evaporare fra i nostri pensieri. Sensazioni più inquiete e scure attraversano Luna di Pietra accompagnato da un arrangiamento in cui i languori del violino, le percussioni, i suoni elettronici sciamano malinconici verso il silenzio. Sono molto immaginifiche e suggestive C’è il Sole nella Strada e Non Vorrei Crepare, nelle quali la musica serve da sfondo sonoro a due poesie di Boris Vian: qui l’oboe, sia pur soffuso in nuvole di elettronica, ci ricorda la Third Ear Band di Macbeth.
L’ipnotica Le Mani d’Africa è forse il brano che si avvicina maggiormente alla forma canzone, o almeno quella che più immediatamente si memorizza, anche per un testo, fra l’altro molto bello, formato in gran parte dall’anafora del titolo. Eterea, sognante, fonte di serenità è Vento Lento cantata poeticamente da Adriana Pulejo che dona al brano un’intensa dolcezza. La ballata folk Necramor per oboe, chitarra e piano, il canto misterioso di Figlia dell’Acqua e del Sole del Mattino e i fragori elettronici di Dea Mangiamele chiudono un disco che per atmosfere e suoni ci rimanda a band come i Saint Just, anche la voce e lo stile di Simona Barbera ricordano Jenny Sorrenti. In “A Tutti gli Uragani che ci Passarono Accanto” le radici prog si uniscono a un ambient folk immaginifico che crea paesaggi sonori cangianti dove gioia e malinconia, e persino visioni apocalittiche, si manifestano all’interno di una cornice dai toni sfumati, meditativi, molto suggestiva e affascinante.
Ignazio Gullotta (Magazzini Inesistenti) 14/12/2020